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Steve McClure, l'amore per l'arrampicata nel Finalese
Steve McClure, 49 anni, uno tra i più forti scalatori del Regno Unito e del mondo, ha deciso di passare una settimana a Finale per testare la sua rinomata roccia e i suoi altrettanto famosi (e duri) gradi.
Steve scala da tutta la vita, ha cominciato come scalatore trad per poi trasferire la sua esperienza ai più alti livelli dell’arrampicata sportiva. È stato il primo a scalare una via gradata 9a+ nel Regno Unito ed ha anche liberato il primo 9b della Gran Bretagna quando ha chiuso il suo progetto Rainman.
Ma c’è molto di più oltre allo scalatore, Steve è un tracciatore, uno scrittore e un allenatore. Quest’ultimo è uno dei motivi che lo hanno portato qui a Finale.
Ma lasciamo che sia lui a raccontarci come è andata.
Ciao Steve! Grazie per essere qui. Cosa ti porta qui a Finale?
Praticamente è andata così: in origine doveva essere una vacanza tra amici, poi Cain Olsen (una guida alpina della zona n.d.A) si è messo in contatto con me. Le guide alpine avevano in programma un incontro e Cain mi ha chiesto se per caso ero interessato a lavorare con loro come coach, per insegnare loro come gestire il rapporto con i clienti e aiutarli al meglio.
Le date combaciavano perfettamente con il mio viaggio, io sarei venuto qui in ogni caso!
Quello della guida è di sicuro un lavoro difficile, hanno delle capacità e un’esperienza molto superiori alle mie ma nonostante questo erano tutti interessati a imparare i miei metodi. Ho spiegato loro come organizzo il tempo, le domande che faccio ai clienti, il modo in cui do loro dei feedback sia a voce che scritti. Inoltre, essendo le guide tutti arrampicatori, ci siamo anche dedicati al perfezionamento delle tecniche di scalata.
Tutta la tua vita gira intorno alla scalata, per te non è solo uno sport. Sei tracciatore, istruttore, scrittore.... Dopo più di quarant’anni passati a scalare, la tua motivazione è sempre la stessa?
Sono molto fortunato a fare questa vita, non che sia facile, ma è quello che mi piace fare e mi lascia libero di scegliere quando lavorare e quando scalare. Se avessi avuto un lavoro “normale” sarebbe stato molto più difficile.
La mia motivazione cambia in continuazione, a volte si indirizza verso la voglia di esplorare, altre volte è solo la voglia di scalare tiri difficili...Al momento è l’avventura a chiamarmi. Non mi riferisco a quella che trovi su vie in montagna, ma a scalate che per me sono nuove. Sono sempre attratto dalla difficoltà, ma cerco anche posti da esplorare. Non è la stessa cosa come parcheggiare la macchina, fare due passi e trovarsi già sotto uno strapiombo bello tosto su prese piccole. Sono cose che ho fatto molto in passato, ora preferisco seguire un bel sentiero lungo il fianco di una montagna, trovare sì una via dura ma in un posto interessante.
Hai dedicato molto del tuo tempo alla pura arrampicata sportiva, raggiungendo i livelli più alti che si possono raggiungere in questa disciplina, ma hai cominciato la tua carriera come scalatore trad. Cerchi ancora la difficoltà in questo genere di vie?
La maggior parte della gente crede che io pratichi principalmente l’arrampicata sportiva, questo succede perché quello per cui sono diventato famoso di solito ha a che fare con quello, ma metà della mia attività su roccia riguarda tuttora la scalata trad.
Mi piacciono tutti gli stili di arrampicata: sportiva, trad, deep water soloing, boulder, vie a più tiri... Non ho scalato molte vie lunghe nella mia vita, ma le adoro. Sono stato in posti come la Groenlandia e la Norvegia, ma ne ho fatte poche, e mai niente di particolarmente difficile. In quei casi ho dato la preferenza alla pura arrampicata, al muovermi bene, senza perdere tempo in tentativi a scalare sul mio grado limite. Preferisco godermi la scalata e passare delle belle giornate.
Senti la competizione con altri scalatori professionisti?
No, per niente. Non mi interessa se qualcuno scala molto meglio o peggio di me. Per me la competizione è sempre con la roccia. Ho partecipato a qualche gara indoor ma non fa per me. Preferisco stare all’aria aperta ed essere io a decidere della mia giornata.
Hai detto che questa è stata la tua prima volta a Finale. Dopo una settimana cosa ne pensi del posto e dello stile di scalata?
Era da tanto tempo che desideravo visitare Finale. È stata nella mia lista per molti anni, ma quando sono nati i miei figli mi sono ritrovato all’improvviso con solo due o tre settimane l’anno in cui potevo allontanarmi e i posti da vedere nel mondo sono così tanti. Ho semplicemente rimandato. Ci è voluto del tempo ma finalmente sono qui.
La prima cosa che mi ha colpito è la bellezza del posto. È un fattore importante per me, quando vado a scalare mi piace godermi il panorama, gli ampi spazi, rilassarmi, e qui voi avete tutto ed è fantastico. In generale, credo che gli italiani siano molto attenti all’aspetto delle loro città, sembra tutto così curato e ben tenuto.
Finale è un angolo dell’Italia “vera”, ci sono le montagne, i paesini con i vicoli stretti, i castelli antichi, tutta l’architettura ha un che di unico ed è così diversa dalla nostra. I panorami in lontananza... stupendi.
Per quel che riguarda la scalata, beh, la roccia è eccezionale.
È unica, con questi buchetti su cui scalare, i movimenti... su un calcare magnifico! Proprio per questa sua particolarità, ci vuole del tempo per abituarcisi a scalare, alle sue forme, a come “leggerla”. Come prima visita l’ho trovata davvero difficile!
C’è anche molta varietà, oggi siamo stati in una falesia che ho trovato più congeniale a me, al giusto livello, in altre falesie invece ho avuto molte più difficoltà. L’arrampicata a Finale ha una lunga storia, si è costruita una reputazione tra gli scalatori di tutto il mondo. Se si parla di aree famose per l’arrampicata da vedere una volta nella vita, Finale è nella lista di tante persone da molto tempo. È un luogo che va visitato, come Ceüse in Francia, Yosemite negli Stati Uniti, Kalymnos in Grecia, solo per dirne alcuni. Questi sono i posti che la gente conosce ed ammira, per la roccia e i paesaggi meravigliosi. Sto già pensando di tornare a marzo!
La bellezza di questi luoghi che hai citato, Finale compresa, porta migliaia di turisti a volerle visitare, tra cui indubbiamente un gran numero di arrampicatori. Una grande affluenza porta molti cambiamenti sia a livello locale che ambientale, qual’è la tua opinione in merito?
Domanda insidiosa! Potrebbe riferirsi a qualsiasi contesto, anche quello di una bella spiaggia.
È difficile rispondere. Non voglio evitare la domanda, perché se è vero che gli arrampicatori possono portare dei problemi, è anche vero che portano anche molto altro alla zona, dormono negli alberghi, comprano la pizza, la birra, fanno spese nei negozi, danno lavoro alle persone.
Ci sono forse due cose importanti: la prima è quella di non focalizzarsi solo su alcune falesie, qui ce ne sono centinaia, e migliaia di vie. Bisogna far sapere alla gente che si può scalare in molti posti. Spargendosi in tanti posti, l’impatto si riduce di molto.
La seconda, è educare gli scalatori. Cercando di farli agire secondo il buonsenso, ed in questo possono aiutare le guide d’arrampicata descrivendo come agire in modo responsabile.
Gli arrampicatori in generale sono brave persone, e sanno ascoltare. Se qualcuno li informa che non è permesso scalare in una data falesia, lo capiscono. Ma se nessuno dice niente, agiranno secondo quello che loro ritengono sia meglio.
La comunicazione è necessaria.
Come ti è sembrata l’arrampicata a Finale rispetto a quella del Regno Unito?
Il Regno Unito regala tanti stili diversi su un’area molto ristretta, e questo lo rende speciale. Si può scalare trad e sportivo, fare deep water soloing, andare in montagna, fare boulder... Ci sono calcare, arenaria, granito, grit, tutti nello stesso posto. E ci sono degli ottimi posti dove scalare trad, in Europa non è molto comune.
Piove un bel po’ da noi, ma non tanto quanto pensa la gente! In tarda primavera ed estate si sta benissimo, ma d’inverno preferirei di certo essere qui!